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Prigionieri delle ideologie
Ancora sulla giornata del ricordo a Monza
Umberto De Pace


Cogliendo l'occasione dei diversi interventi, apparsi su questo giornale, vorrei portare il mio contributo, proseguendo al contempo, una personale riflessione iniziata due anni fa, sul tema in questione.
Quest'anno ho partecipato con interesse, all'incontro organizzato dal Comitato unitario antifascista dal titolo “Non solo foibe. Nazionalismo, socialismo, fascismo e antifascismo nei territori del confine orientale” , presso la Circoscrizione 3.
Il relatore principale della serata, lo storico Sandi Volk, si è dilungato, in una relazione per certi versi interessante, per altri, a mio modesto avviso, militante.
Comunque sia, il dibattito molto acceso, che ne è scaturito, ha visto una parte degli interventi tesa verso un approfondimento storico; un'altra, interessata a sondare i sentieri, tracciati dal dolore e dalla tragedia, nel vissuto degli uomini e delle donne delle zone di confine; un'altra ancora, la più ideologica, non disponibile a interrogarsi e ad approfondire la questione, rimaneva arroccata a difesa delle proprie posizioni.
L'intervento più interessante della serata è stato la testimonianza di una signora di Pola, che insieme ai suoi cari, fu parte di quel gruppo di 60 famiglie di profughi che nel 1956 trovò ricovero qui a Monza. E' la prima volta, dice, che porta in pubblico la sua storia. Lo fa con discrezione, venata da un'emozione di fondo, ricordando la paura, la fuga, un'esistenza ferita dalla lontananza dalla propria terra, la doppia colpa di essere italiana e di sinistra, in una terra di confine che amplifica ogni appartenenza, che acutizza le differenze. Pur rammentando alla sala che la Jugoslavia di Tito, divenne una dittatura, la sua testimonianza è lontana dai toni carichi di odio e rancore, che mi è capitato di sentire da altri profughi gli anni passati.
Tre giorni dopo si sarebbe tenuto il convegno “Capire le Foibe”, organizzato dall'A.D.ES. di Monza (Associazione amici e discendenti degli esuli) e patrocinata dal Comune di Monza.
Decido di non partecipare, dopo aver letto i manifesti irricevibili, a firma A.D.ES. e altre associazioni, tra cui diverse sigle della destra radicale locale.
Irricevibili, in quanto portatori di un messaggio nazionalista viscerale, fuori dal tempo e dalla storia, come fuori dal tempo e dalla storia, erano l'anno scorso gli slogan scanditi dai manifestanti di estrema destra per le strade del centro cittadino.
Altrettanto irricevibile e vergognoso è il fatto, riportato dai giornali, che nel corso del convegno, qualcuno abbia pensato di schierare, lungo i lati della sala, una serie di ragazzotti, con “testa rasata, felpa nera, con fascia tricolore sulla manica”, non si sa se per marcare il territorio o per dissuadere eventuali interventi dissenzienti.
Dichiarando, sul suo sito, di essere nata “sulla spinta del successo di popolo del corteo del 10 febbraio scorso”, l'A.D.ES., non fa altro che esplicitare il suo essere ideologicamente schierata, perdendo qualsiasi credibilità di serietà e autorevolezza sulla materia che intende trattare.
La posizione scelta dall'amministrazione comunale è confusa e ambigua: si delega all'A.D.ES. la realizzazione di gran parte delle iniziative, patrocinandole, ma non lasciando apporre il proprio simbolo sui manifesti sciovinisti; si ringraziano al contempo tutte le associazioni, al carro dell'A.D.ES, sui propri depliants, senza citarle.
Fra queste associazioni, non va dimenticato che è sempre presente la cosiddetta Compagnia Militante, fiera di aver organizzato lo scorso anno, in accordo con Forza Nuova (come si può vedere sul sito di entrambe) la commemorazione dei caduti della Repubblica Sociale Italiana, niente di meno che il 25 aprile, mentre il paese festeggiava la liberazione dal nazi-fascismo.

ma non sono fascisti !
Cimitero di Monza 25 aprile 2007 (dal sito di Compagnia Militante )
capomanipolo dei "milites" Guido Giraudo presidente della Associazione Lorien

Ora, tutte le persone di buon senso, sanno che uno dei motivi per i quali sono state tenute nascoste le pagine di storia relative all'esodo e alle foibe, è stato proprio per le strumentalizzazioni ideologiche di parte, fatte prevalere sull'intera vicenda.
Dispiace quindi che oggi, l'amministrazione comunale della nostra città presti il fianco a tali strumentalizzazioni, e non avverta in alcun modo il rischio, concreto, di un acutizzarsi del clima di scontro, contrapposizione, contrasto, tanto più su ricorrenze ufficiali.
Non a caso il 10 febbraio, il Centro sociale Boccaccio insieme ad alcune forze della sinistra locale, hanno organizzato una manifestazione per “denunciare la strumentalizzazione politica della giornata del ricordo”, che pare sia finita, a detta degli stessi organizzatori, con l'aggressione di due studenti, nei pressi di piazza Cambiaghi, da parte di naziskin, presenti alla mostra dell'A.D.ES. che si teneva all'Arengario.
Se penso a quanto successo prima con il IV novembre, e ora con il 10 febbraio, non oso immaginare cosa accadrà il 25 aprile prossimo venturo.
E' forse il caso che, le forze politiche al governo di questa città, si chiedano se sia opportuno delegare l'organizzazione di queste ricorrenze al vicesindaco Allevi, il quale visti i precedenti, pare, da una parte, perseverare sulla strada dello scontro e delle divisioni e dall'altra fornire copertura e finanziamenti all'estremismo di destra locale.
Ciò certamente non è un bene per la nostra città, non lo è per nessuno, aldilà delle appartenenza politiche.
***

Nel 1990 il consiglio comunale di Trento, all'unanimità, approvava una mozione che invitava il governo a promuovere l'istituzione una commissione italo-jugoslava incaricata di far luce sul dramma delle foibe.
Nel 1993 vennero costituite due commissioni, una italo-slovena e una italo-croata, il cui mandato venne esteso allo studio di “tutti gli aspetti rilevanti delle relazioni politiche e culturali bilaterali” nel corso del novecento.
Nel 2000 la commissione italo-slovena concluse i suoi lavori con un rapporto finale congiunto, pubblicato e consultabile presso il sito: www.kozina.com.
L'invito a tutti, è quello di partire da questa base comune.
Trascorsi sessant'anni, è ora che la storia di quelle terre di confine non sia più prigioniera delle ideologie, ma venga raccontata per quello che è accaduto nella sua interezza, complessità, drammaticità.

Umberto De Pace

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  18 febbraio 2008